Il bonifico parlante è sorto con il duplice scopo di agevolare il contribuente che vuole usufruire dei bonus edilizi e, nello stesso tempo, garantire all’Erario la piena tracciabilità di ogni flusso collegato alle detrazioni. Non si tratta di un semplice trasferimento di denaro: è un atto che incorpora in sé la dichiarazione, la prova del pagamento e il presupposto tecnico per applicare la ritenuta d’acconto che le banche devono versare allo Stato in funzione di presidio antifrode. Dal 1 marzo 2024 l’aliquota di quella ritenuta è salita all’11 per cento per effetto della legge di bilancio 2024, ma il meccanismo resta immutato: se l’ordine di bonifico non contiene i dati richiesti, l’istituto di credito non può applicare la ritenuta in modo corretto e l’Agenzia delle Entrate può contestare l’intera detrazione.
Il primo elemento che distingue un bonifico parlante da un bonifico ordinario è la causale. Nel testo deve comparire il riferimento alla norma agevolativa, quasi sempre l’articolo 16-bis del D.P.R. 917/1986 per i lavori di recupero edilizio, o l’articolo 14 del decreto-legge 63/2013 per gli interventi di efficienza energetica, insieme agli estremi della fattura. Dal 6 ottobre 2020, per i pagamenti diretti all’Ecobonus 110, la banca richiede anche il numero e la data del documento fiscale, perché quell’informazione popola i flussi utili a controllare la nuova piattaforma dei crediti fiscali. I soggetti coinvolti sono fotografati con altrettanta precisione: il campo “ordinante” ospita il codice fiscale di chi sostiene la spesa, il campo “beneficiario” riporta la partita IVA o, se si tratta di un artigiano in regime forfetario, il codice fiscale dell’esecutore dei lavori. Se l’intervento avviene su un condominio, si inserisce il codice fiscale del condominio e, a seguire, quello dell’amministratore o del condomino che effettua materialmente il versamento. Non sono formalità minori: la Corte dei conti, in più referti, ha ricordato che l’abbinamento puntuale tra codice fiscale pagatore, immobile e fattura è la chiave per inibire la duplicazione fraudolenta dei crediti. Attraverso la causale l’operazione prende anche posizione sulla natura dell’intervento. Un errore in quel campo non blocca necessariamente il beneficio: la stessa Agenzia delle Entrate ha precisato che l’indicazione per sbaglio della causale dell’Ecobonus su un pagamento riferito al Bonus ristrutturazione non fa decadere il diritto all’agevolazione, purché tutte le altre condizioni siano rispettate e la banca abbia comunque applicato la ritenuta d’acconto . Il principio è ormai pacifico: conta la sostanza dell’operazione, non la perfetta citazione del comma legislativo, e l’errore materiale può essere superato senza ulteriori adempimenti, perché lo scopo di controllo è già raggiunto.
Obbligatorio o facoltativo? La risposta varia in base al bonus. Per la detrazione del 50 per cento sulle ristrutturazioni e per il Sismabonus il bonifico parlante è l’unico strumento di pagamento ammesso, salvo poche eccezioni (oneri di urbanizzazione, diritti di segreteria, imposte di bollo) che non possono essere regolati con bonifico per ragioni amministrative e vengono certificati con ricevute o F24. In caso di comproprietà l’ordinante può essere uno solo, a condizione che sul bonifico compaiano i codici fiscali di tutti i soggetti che intendono fruire della detrazione e che le fatture siano integrate, fin dal primo anno, con la loro quota di spesa. Diverso il regime dell’Ecobonus tradizionale: i privati devono usare il bonifico parlante, mentre le imprese in contabilità ordinaria, la circolare 29/E 2023 lo ha ribadito espressamente, possono pagare con qualunque mezzo tracciabile, perché la loro deducibilità segue il principio di competenza. Se, però, l’impresa applica il regime di cassa di cui all’articolo 66 Tuir, il pagamento dev’essere ricondotto al momento dell’esborso e torna l’obbligo di bonifico, come chiarito nell’interpello 46/2018.
Nel perimetro del Superbonus le regole si assestano su un meccanismo binario. Chi sceglie la detrazione in dichiarazione è obbligato al bonifico parlante; chi opta per lo sconto in fattura o per la cessione del credito può regolare i rapporti economici con il fornitore secondo modalità pattuite, perché la tracciabilità è già assorbita dagli obblighi di comunicazione telematica del credito. La circolare 24/E 2020, al paragrafo 6, ha chiarito che la detrazione spetta in base al criterio di cassa e che, quindi, la data dell’ordine di bonifico determina in modo definitivo l’anno d’imposta in cui imputare la spesa. Questo dato, divenuto dirimente dopo il taglio dell’aliquota al 70 per cento per le spese 2024, ha trovato conferma nella risposta all’interpello 137 del 20 giugno 2024: l’Agenzia ha riconosciuto a un condominio il diritto al 110 per cento perché l’ordine di pagamento era stato impartito il 30 dicembre 2023, pur se l’addebito era scattato nel primo giorno bancabile dell’anno successivo.
Per il Bonus mobili il legislatore è meno rigido: basta la carta di credito o di debito, oltre naturalmente al bonifico. Sono invece esclusi assegni e contanti, e non è necessario usare il modello “parlante” predisposto dalle banche per i lavori edilizi, perché il fornitore deve essere pagato per intero e non è tenuta alcuna ritenuta.
Una fonte di incertezza è l’identità dell’ordinante. La circolare 7/E 2018, nella versione rimaneggiata dopo gli aggiornamenti normativi del 2020, ammette che la detrazione spetti anche a chi non risulta intestatario del bonifico né della fattura, purché integri i documenti fiscali con il proprio nominativo e la percentuale di spesa sostenuta. Si evita così il paradosso delle famiglie in cui il conto corrente è intestato a uno solo dei coniugi ma la detrazione deve essere ripartita. In presenza di comproprietà tutti i soggetti interessati possono accedere al beneficio anche se il bonifico reca un solo ordinante. Ciò vale pure in condominio: se il bonifico esce dal conto dell’amministratore, il diritto rimane in capo ai singoli condòmini, sempre che la ripartizione delle spese risulti da verbale e tabella millesimale. Capita, tuttavia, che la banca non disponga di un modello apposito o che l’utente, operando da home banking, selezioni per errore il bonifico ordinario. L’Agenzia consente di sanare l’errore con un’autocertificazione per errato bonifico resa dall’impresa esecutrice: l’artigiano attesta di aver contabilizzato correttamente il corrispettivo ai fini delle imposte e, con quel documento, il contribuente mantiene la detrazione senza dover ripetere il pagamento. Lo stesso vale se il contribuente si accorge dell’errore entro i termini per un nuovo versamento: in quel caso può annullare il bonifico ordinario, emettere un bonifico parlante corretto e conservare l’agevolazione senza ulteriori formalità.
Un’altra svista frequente riguarda il codice fiscale. Dimenticarlo nella causale può far scattare un controllo automatico da parte dall’Agenzia delle Entrate, perché il collegamento fra codice e immobile è uno dei parametri che alimentano la dichiarazione precompilata. Le banche e Poste Italiane, in caso di dati mancanti, inviano comunque il flusso ma lo etichettano come “non elaborabile”: il Caf o il professionista incaricato dovranno integrare la documentazione con una dichiarazione sostitutiva o con la ricevuta di storno e ripetizione del pagamento.
Il quadro cambia se a pagare è un’impresa in contabilità ordinaria che fruisce dell’Ecobonus: in questo caso la circolare 29/E ha precisato che non esiste l’obbligo di bonifico, perché in contabilità ordinaria la deducibilità prescinde dal momento dell’esborso e l’Iva è già tracciata nei registri. Viceversa l’impresa in contabilità semplificata o regime di cassa deve effettuare il bonifico, perché l’imputazione segue il momento del pagamento e la tracciabilità è imprescindibile Sul terreno delle aliquote, il nuovo prelievo dell’11 per cento ha innescato un adeguamento delle procedure bancarie. Dal 1 marzo 2024 i modelli di bonifico parlante online espongono in chiaro la clausola “ritenuta 11% art. 25 Dl 78/2010”, garantendo che il professionista o l’impresa ricevano l’importo netto e possano registrare il credito d’imposta corrispondente. Il maggior prelievo non incide sul plafond detraibile del committente, che continua a considerare il lordo; semmai riduce la liquidità del fornitore, il quale potrà scomputare la ritenuta in dichiarazione o chiederne il rimborso.
Molti si chiedono se basti la ricevuta telematica dell’ordine di bonifico o se serva anche l’estratto conto. La prassi dell’Agenzia, formalizzata già nella circolare 43/2016, considera sufficiente la ricevuta, perché il pagamento si considera effettuato “nel momento stesso in cui viene impartito l’ordine alla banca”, a prescindere dall’effettivo addebito. Ciò rafforza l’importanza di salvare tutte le ricevute generate dall’home banking: sono il timbro cronologico che fissa per sempre la competenza della spesa.
Un’ultima questione riguarda la coerenza fra fattura e bonifico. Laddove la fattura contenga un corrispettivo parzialmente soggetto a detrazione e parzialmente no, è il caso, per esempio, di un intervento misto con quota di manutenzione ordinaria non agevolata, il contribuente deve predisporre due distinti pagamenti o indicare in causale la ripartizione. Le banche prevedono oggi un limite di caratteri sufficiente a ospitare diciture lunghe, ma se lo spazio non basta si può fare riferimento al numero e alla data della fattura compilando una nota riepilogativa che il fornitore timbra per accettazione. L’obiettivo resta sempre lo stesso: mettere il Fisco nella condizione di verificare, con un semplice incrocio automatico, che ogni detrazione trovi specularmente la sua impronta nell’archivio bancario e nella dichiarazione del professionista che ha incassato.
Ecco perché il bonifico parlante non è un mero adempimento bancario: è il cuore pulsante del sistema di controlli, il crocevia in cui confluiscono gli interessi del contribuente, dell’impresa e dell’Amministrazione finanziaria. Compilarlo con cura significa assicurarsi che il Superbonus, l’Ecobonus, il Sismabonus o il Bonus mobili si traducano in un risparmio d’imposta certo e inattaccabile. Trascurare un codice fiscale, confondere una causale o optare per un bonifico ordinario espone a verifiche, richieste di integrazione e, nei casi peggiori, alla perdita di un’agevolazione che, nel caso del Superbonus, può valere decine di migliaia di euro. La regola d’oro rimane quindi la stessa dal 2010, anno in cui fu introdotto l’articolo 25 del decreto-legge 78: prima di premere “conferma” sul computer o di firmare un modulo in filiale, leggere con attenzione ogni campo e chiedersi se quel bonifico, una volta immagazzinato nei server dell’Agenzia, racconti la storia esatta dell’intervento edilizio che abbiamo realizzato. Se la risposta è affermativa, il “bonifico parlante” avrà davvero parlato nella lingua della certezza giuridica.